Losanna, venerdì

30.10.2015

11.00

Losanna, lago Lemano
Portone d'entrata dello studio di W.Jeker

Siamo arrivate a Losanna curiose e allo stesso tempo intimorite dall’idea di incontrare un personaggio così importante nel mondo della grafica come Werner Jeker. Siamo arrivate di fronte al suo ufficio di mattino presto e, dopo aver citofonato, Jeker si è affacciato dal terrazzo e ci ha fatto entrare.

È stato un primo approccio molto piacevole che ci ha, fin da subito, mostrato una persona molto disponibile e aperta al dialogo. Prima di mostrarci l’interno del suo atelier, siamo uscite con lui in strada e ci ha raccontato come l’intera via sia ricca di studi grafici e altre attività che sviluppano tecnologie innovative. Questa situazione e la vicinanza con chi sviluppa innovazione sono aspetti che lo affascinano particolarmente.

Siamo quindi salite al primo piano dell’edificio e davanti a noi si è svelato un bellissimo ufficio, un ambiente confortevole, ricco di libri, progetti, ispirazioni, oggetti di design, progettati da lui o dai suoi collaboratori.

11.30

Da 20 anni lo studio è un punto fisso nella sua vita, fondò Les Ateliers du Nord insieme a due industrial designers di nome Antoine Cahen e Claude Frossard, che ancora oggi condividono questo spazio, ognuno con i propri clienti e il proprio lavoro.

Werner Jeker ritratto nel suo studio

Come prima cosa ci ha mostrato un libro impaginato da lui su Werner Bischof, uno dei più grandi fotoreporter del XX secolo. Il suo entusiasmo nel raccontarci le avventure di questo fotografo ci ha fatto capire quanto lui viva i suoi lavori. Per Jeker è molto importante lavorare su argomenti che lo coinvolgono perché, se non si provano delle emozioni durante la progettazione, è difficile poi trasmettere qualcosa che non si è sentito.

Dopo questo promettente inizio abbiamo deciso di andare a mangiare qualcosa, Jeker ci ha consigliato un piccolo ristorante vietnamita, dove una volta c’era la stazione di partenza di una funicolare. Fra un boccone e l’altro, i suoi affascinanti racconti sono continuati.

12.00

Ci narra di come inizialmente l’intenzione era quella di dirigersi verso l’illustrazione, non ha mai deciso di diventare un grafico, sapeva unicamente di voler disegnare e produrre immagini. Fu sorpreso quando scoprì che poteva fare della sua passione una professione, nonostante inizialmente il suo intento non fosse di trarre profitto, o tantomeno conseguire il successo.

Tra il ‘61-’65 inizia un apprendistato da Hugo Wetli e frequenta parallelamente la scuola professionale di Basilea e Berna e solo nel 1972 inizia a lavorare come grafico indipendente. I suoi mentori in quegli anni furono Kubin, Edelmann e ovviamente Wetli.

12.30

La chiacchierata con il signor Jeker continua e ci racconta che un grafico sbaglia se pensa di interessarsi solo di grafica.

Un grafico deve appassionarsi anche alla musica, alla letteratura, alla pittura, al cinema e alla fotografia per essere completo.

Se cerchi di prendere ispirazione dal lavoro di un grafico tenderai a copiarlo, se invece vai ad un concerto e vedi un batterista, penserai a una tipografia legata ai suoi movimenti, prenderai il suo ritmo ma starà a te reinterpretarlo in chiave grafica.

Parlando dei giovani nel mondo della grafica, da parte sua è emerso che ci sono giovani che lavorano, ascoltano sempre i professori e trattano i loro insegnamenti come se fossero regole da mai infrangere, poi ci sono dei giovani, come un tempo era lui, timidi, che non parlano ma disegnano e fanno cose molto interessanti. Quando è stato insegnante, era stimolante essere a contatto con gli studenti, con la loro curiosità ed energia, spesso tutto ciò era fonte d’ispirazione.

13.00

Terminato il pranzo siamo ritornate verso l’ufficio e ci ha portato a visitare il piano terra dell’atelier.

Studio di Werner jeker

La prima cosa che abbiamo notato entrando nella stanza è stata la presenza di un’installazione con uno specchio concavo, abbiamo poi capito dai suoi racconti che quella struttura risale agli anni ’60, era un’installazione per la mostra sul design svizzero, in particolare design di vasi in vetro.

Specchio psichedelico, installazione di Werner Jeker

Gli fu chiesto di creare un manifesto, ma lui decise di fare un’analisi dei materiali che si usano per fare i vasi e progettò un insieme di immagini. In seguito produsse lo specchio, che all’epoca era visto come un oggetto psichedelico. In modo divertente ci ha fatto notare come l’installazione si anima quando un oggetto o una persona si muovono dinanzi ad esso.

Immagine d’ispirazione per l’installazione
Ispirazione per lo specchio psichedelico

Da qui gli chiediamo di mostrarci qualche altro suo lavoro risalente a quegli anni e ci risponde con una battuta:

“Se volessi mostrarvi qualcosa degli anni ‘60 dovrei mostrarvi una foto con la mia faccia piena di acne”.

Questo per un semplice motivo, negli anni ‘60 lui non era un grafico ma disegnava per pura passione senza pensare al profitto.

13.30

W. Jeker durante il suo apprendistato insieme a Hugo Wetli

Continuando il discorso, ci espone delle immagini concernenti la mostra sul design svizzero alla Kunsthalle di Berna e un ritaglio di giornale che ritrae lui e il suo mentore Hugo Wetli negli anni ‘60.

Le immagini mostrano lavori e creazioni di Jean Tinguely, Alexander Calder, ecc., macchine inutili che producevano suoni e rumori.

Era un periodo dove si discuteva su cosa fosse l’arte, e cosa no, non era tutto previsto e fatto coscientemente, ma la gente era sorpresa e allo stesso tempo affascinata da queste sculture cinetiche. A quel tempo egli era un apprendista molto giovane e per lui era un periodo dove tutto era perfetto e non si poteva fare meglio di quello che già era stato o stavano inventando.

Le sue migliori esperienze grafiche e tipografiche nascono proprio dall’essersi immerso in questo contesto culturale,

"se cerchi di prendere ispirazione dal lavoro di un grafico, tenderai a copiarlo, se invece ad esempio vai ad un concerto e vedi un batterista che suona, penserai a una tipografia legata ai suoi movimenti e prenderai il suo ritmo, ma starà a te reinterpretarlo in chiave grafica e di conseguenza creare qualcosa di nuovo e particolare."

14.00

Come detto precedentemente, le produzioni di Jeker partono sempre da temi che lo coinvolgono emotivamente. Questo perché desidera formulare delle sensazioni in un artefatto e per poterlo fare al meglio deve provarle lui stesso.Un esempio di un progetto che lo ha coinvolto particolarmente è stato il catalogo su Guy Brunet, artista e filmaker svizzero, Jeker trovava il personaggio molto interessante.I suoi lavori catturano l’attenzione, perché lui riformula molte volte un’immagine prima di poter arrivare alla soluzione. Secondo lui si possono fare 5, 6 o 7 manifesti sbagliati, paragonandosi a un musicista che ripete lo stesso brano diverse volte finché non lo suona correttamente.

Bisogna cercare, cercare e cercare fino a quando non si è soddisfatti.

Lavoro di W. Jeker (1979), New Japanese photography, Museum of Decorative Arts, Lausanne, Switzerland, 90.5 x 128 cm

In questo Jeker non trova alcuna differenza fra gli anni ‘60 e i giorni nostri. Dobbiamo saper accettare l’epoca così com’è, non la possiamo cambiare. Jeker sostiene che i lavori da lui prodotti in quegli anni non siano eccellenti, afferma anche di essere diventato un professionista dopo aver realizzato materiale da buttare, perché questa era la dimostrazione di aver imparato quel qualcosa in più che gli ha permesso di giudicare con distacco e oggettività i lavori, Jeker si definisce quindi in continuo apprendimento.

Ha spesso paragonato il lavoro del grafico a quello del musicista, dicendoci che noi graphic designer siamo protetti da un guscio, non siamo direttamente esposti al pubblico come lo sono invece i musicisti che quando vanno in scena, se sbagliano, il pubblico può esprimere il proprio malcontento direttamente. Per noi grafici è diverso perché rimaniamo a casa, e quando la gente guarda i manifesti può apprezzarli o meno, ma avviene tutto in maniera indiretta.

14.30

W. Jeker, Libro fotografico di Guy Brunet

Jeker disegna ancora a mano come un tempo ma meno frequentemente, anche per lui il computer, in molti casi, ha preso il posto della mano, con il passare del tempo tuttavia dice che non è cambiato niente se non l’uso dei media per esprimersi. Non è cambiato niente fra i suoi tempi e quelli di oggi, la grafica continua a essere influenzata dalla società, l’unica differenza è che una volta ci si poteva prendere il tempo per fare le cose, oggi la situazione è diversa i ritmi e i mezzi sono cambiati. proposito di cambiamenti Jeker afferma che tutto è un flusso, molte cose sono ancora importanti per lui, altre sono scomparse e altre ancora riappaiono, nutre la sua curiosità sia con quello che è nuovo sia con quello che è vecchio.

E poi una riflessione sul colore: Jeker utilizza spesso il nero e lo fa in maniera cosciente, il nero unisce e separa, trasporta immagine, testo e contenuto perfettamente con la sua presenza neutrale. Sceglie il nero anche per i vestiti che indossa, dice che se si vestisse colorato mentre lavora, sarebbe disturbato, non potrebbe progettare con vestiti colorati, è impossibile.

15.00

Per finire, ci ha detto: “La creazione è come lo sci. Noi quando eravamo giovani andavamo in montagna e rimanevamo tutto il giorno al ristorante a bere e mangiare, a mezzanotte scendevamo attraverso il bosco. Senza aver fatto migliaia d’ore di sci, non si può sfuggire all’incidente. Tutto è immagazzinato nella mente e nella discesa ti lasci andare. Vale lo stesso per la grafica, devi lavorare molto per poi poterti lasciare andare e creare un’immagine che sia leggera, senza cadere.

15.30

L’incontro con Werner Jeker è stato stimolante sia dal punto di vista visivo che emozionale. L’entusiasmo del signor Jeker per la sua professione ci ha colpito molto, è stato un onore poter passare la giornata nel suo studio a parlare con lui. È un personaggio carismatico e coinvolgente. È stato una fonte d’ispirazione per tutte noi.